Prossimo appuntamento di Parole in Giardino

Si avvicina il prossimo appuntamento del Gruppo di lettura “Parole in Giardino”.

Si incontrerà Giovedì alle ore 18.00 sulla piattaforma GMeet per parlare del romanzo Borgosud di Donatella Di Pietrantonio  e dell’albo illustrato “Migranti” di Issa Watanab. 

Incontro affollato e ricco di interventi e di diversi sguardi e letture del romanzo.

Borgo sud sembra raccontarmi di un’assenza e del peso, insostenibile a tratti, di unacerta “diseredità”. I personaggi procedono cercando un modo per non finirne
curvati. Questi orfani affettivi parlano a madri e padri che non comprendono. Primofra i latitanti, è il padre celeste, sostituito da logiche cosmiche imperscrutabili.
L’elemento femminile materno domina col potere violento di chi dispensa vita e
sventura. Il maschile appare fragile, inadeguato o indisponibile.

Il suo regno vagheggiato resta il mare, leggendario e immaginifico ma avaro di radicamento. Infondo anche questa nostra città non si allontana di molto dal sentiero tracciato e seminato; mentre si frastorna con lustrini e aperitivi fatica a riconciliarsi con le sue origini, forse perché perdute o dimenticate o reiette.

Davanti a tutto ciò, l’autrice sembra sfoderare poche armi ma incisive: un certo distacco di chi osserva e trattiene e il coraggio, infine, che serve a tutti. Anche a chi orfano non è. ( Arianna)

L’intervista in onda su ANG inRadio-Abruzzo

 

L’intervista in onda su ANG inRadio-Abruzzo si occupa della povertà educativa e dell’educazione degli adulti riportando esperienze nell’ambito dell’educazione formale e non formale raccontate da Annarita Bini e Mariadaniela Sfarra, Ambasciatrici Epale per l’Abruzzo.

La presidente Annarita  Bini illustra le finalità e le attività dell’Associazione SmartLab Europe, parla della promozione della lettura e della creazione dei Gruppi di lettura e infine si sofferma sul progetto europeo Erasmus+ “Tesori Rurali” @ruraltreasures

E' possibile ascoltare l'intervista al seguente link
https://fb.watch/334HEdiG6W/

Sulla piattaforma EPALE è possibile leggere l’articolo “Narrazione radiofonica a due voci sulla povertà educativa degli adulti”   

@EPALE-Educazione Adulti Italia @Mariadaniela Sfarra @CSV Pescara @ANG InRadio-Abruzzo @Erasmus+@Agenzia Nazionale per i Giovani

A U G U R I !

Nel lasciare questo anno particolare desidero  augurare parole di riflessione e di auspicio quali luce, speranza e coraggio.

International Volunteer Day #Togetherwecan

“Together We Can Through Volunteering” è  lo slogan della 35° Giornata internazionale del volontariato 2020, la ricorrenza voluta dall’Onu per il 5 dicembre.

La Giornata internazionale del volontariato, designata dalla risoluzione 40/212 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 17 dicembre 1985, persegue lo scopo  di riconoscere il lavoro, l’impegno, il tempo e le capacità dei volontari in tutto il mondo. Sono, infatti,  molteplici e numerose le attività di volontariato, spesso poco conosciute e apprezzate.

La campagna per la 35^ Giornata internazionale” indetta dall’Onu ha come simbolo un cuore blu e punta a evidenziare il ruolo chiave, ma anche il tema dell’accesso alle cure, dei volontari impegnati in prima linea nelle risposte all’emergenza Covid

L’Associazione SmartLab Europe aderisce a questa  campagna:“Together We Can Through Volunteering”

25 Novembre 2020 con la lettura di “Donne che amano troppo”

Il 25 Novembre  ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne,  istituita nel 1999 dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite che  ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG  a organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.
Per questa giornata vorrei proporre la lettura  del volume “Donne che amano troppo” di Robin Norwood.
📖Amare senza fine
Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo. Quando nella maggior parte delle nostre conversazioni con le amiche intime parliamo di lui, dei suoi problemi, di quello che lui pensa, dei suoi sentimenti, e quasi tutte le nostre frasi iniziano con “lui…”, stiamo amando troppo. Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un’infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo.
Quando leggiamo un saggio divulgativo di psicoanalisi e sottolineiamo tutti i passaggi che potrebbero aiutare lui, stiamo amando troppo. Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuose lui vorrà cambiare per amor nostro, stiamo amando troppo. Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo. A dispetto di tutta la sofferenza e l’insoddisfazione che comporta, amare troppo è un’esperienza tanto comune per molte donne che quasi siamo convinte che una relazione intima debba essere fatta così. Quasi tutte abbiamo amato troppo almeno una volta, e per molte di noi questo è stato un tema ricorrente di tutta la vita. Alcune si sono lasciate ossessionare tanto dal pensiero del loro partner e della loro relazione, da riuscire appena a sopravvivere.

Il Silvi Book Club e il romanzo Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio

Il Silvi Book Club si incontra mensilmente  parlando di un libro da leggere, dando priorità ad autori abruzzesi.

Sabato 21 Novembre alle ore 21.00 si svolgerà l’incontro del Gruppo di Lettura  sulla piattaforma GMeet per parlare del romanzo “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” di Remo Rapino, vincitore della cinquantottesima edizione del premio Campiello 2020.

Remo Rapino è nato nel 1951 a Casalanguida, in provincia di Chieti, e vive  a  Lanciano, dove è stato docente di filosofia e storia nel locale liceo. Ha pubblicato i racconti Esercizi di ribellione (Carabba 2012) e alcune raccolte di poesia, tra cui La profezia di Kavafis (Moby-dick 2003) e Le biciclette alle case di ringhiera (Tabula Fati 2017).

Nel 2019 pubblica Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio con la Casa Editrice Minimum Fax. Il romanzo si è aggiudicato a sorpresa l’edizione 2020 del Premio Campiello ed è risultato finalista al Premio Napoli e candidato al Premio Strega.

Il romanzo intende raccontare uno spaccato del Novecento  attraverso lo sguardo del protagonista, Bonfiglio Liborio, considerato una «cocciamatte», ossia il matto del paese.

Liborio, all’età di circa ottant’anni, prende un quaderno e una penna Bic nera e decide di  scrivere la sua lunga storia. Nel primo capitolo racconta di  come fosse venuto al mondo, che aveva  il cognome della madre e gli occhi del padre partito per trovare lavoro in America, della morte  del nonno sul cantiere dove lavorava come muratore, dello sfratto e del trasloco in una misera casa piccola e fredda dove la madre si ammala.

Con tali antefatti come potrà essere la sua storia?

TESORI RURALI – RACCONTARE I TERRITORI CON ERASMUS+

Nell’ambito degli #ErasmusDays, il 17 ottobre 2020 alle 16.00 l’Associazione Culturale “SmartLab Europe” (Pescara,Italia),in collaborazione con il Centro Servizi per il Volontariato Abruzzo e con EPALE Italia, organizza su FaceBook un video-evento per raccontare le fasi essenziali del progetto Strategico Erasmus+ KA 204 “Tesori Rurali – L’impresa sociale motore dello sviluppo rurale” che, iniziato nel 2018, terminerà nella primavera 2021.

Il progetto”Tesori Rurali” rappresenta una opportunità preziosa per conoscere il territorio locale e quello dei nove paesi partner e per operare uno scambio di esperienze di successo di imprenditoria sociale, oltre a costituire un’azione di sensibilizzazione al fine di avviare ulteriori iniziative.

Il progetto, lungi dal poter risolvere un fenomeno complesso e spesso drammatico dello spopolamento di vaste aree interne, offre la straordinaria possibilità di guardare il proprio territorio con occhi nuovi.

Info:
Sitoweb Associazione SmartLab Europe http://www.smartlabeurope.eu/
Facebook Associazione SmartLab europe https://www.facebook.com/smartlabeurope

sitoweb progetto “Rural Tresaures” http://rural-treasures.mozello.lv/

FB progetto”Rural Tresaures” https://www.facebook.com/ruraltreasures/

Guarda il video racconto di SmartLab Europe per gli Erasmus Days 2020…

https://www.facebook.com/watch/?v=643745439659674

Continuano gli incontri in presenza

Continuano gli incontri in presenza del Gruppo Parole in Giardino: distanziati ma vicini per parlare di libri, emozioni, parole, immagini, condividendo riflessioni e pensieri.

Incipit del romanzo” Quel che affidiamo al vento”

Ne aveva sentito parlare la prima volta alla radio. Un ascoltatore era intervenuto a fine programma per raccontare cosa lo facesse stare meglio dopo la scomparsa della moglie. Ne avevano discusso ampiamente in redazione prima di fissare il tema della puntata. Tutti sapevano di lei, che dentro aveva l’abisso. Ma Yui aveva insistito, che qualunque cosa sarebbe venuta fuori, lei era schermata. Proprio perché aveva sofferto così, nessuno strazio più la toccava. «Cosa vi ha reso più semplice alzarvi la mattina e andare a letto la sera dopo un grande lutto? Cosa vi permette di stare bene quando vi sentite afflitti?» La puntata era stata tuttavia molto meno cupa del previsto. Una donna di Aomori aveva raccontato che quando era triste lei cucinava: preparava torte dolci e salate, macaron, confetture, piccole pietanze come crocchette o pesce alla griglia in zucchero e salsa di soia, verdure bollite da infilare nel bentō; aveva persino comprato un freezer a parte per poter congelare quando le prendeva la voglia. Per Hina-matsuri, la festa delle bambine che cadeva ogni 3 di marzo, nel giorno in cui un tempo celebrava la figlia, si premurava di sbrinarlo con precisione. Era certa che guardando l’esposizione delle bambole nel soggiorno, le scalinate con i vari pupazzi che simboleggiavano la famiglia imperiale, avrebbe sentito il bisogno impellente di pelare, tagliare e sbollentare. Cucinare la faceva sentire bene, disse, la aiutava a rimettere le mani sul mondo. Una giovane impiegata di Aichi telefonò invece per dire che lei andava nei caffè ad accarezzare cani, gatti e furetti, sì, soprattutto furetti. Bastava le strusciassero i piccoli musi sulle mani e a lei tornava la gioia d’essere viva. Un anziano, sussurrando perché la voce non raggiungesse in camera da letto la moglie, confessò che giocava al pachinko; un salaryman, che aveva vissuto la separazione dalla fidanzata come un lutto, aveva preso a bere tazze di cioccolata fondente e a sgranocchiare sembei. Tutti sorrisero quando una casalinga di Tōkyō, una donna di circa cinquant’anni che aveva perso la migliore amica in un incidente, raccontò che aveva iniziato a studiare francese e che quel solo modulare la voce diversamente, quella erre di gola e quell’accentazione complessa, le davano l’illusione d’essere un’altra. «Non imparerò mai la lingua, sono proprio negata, ma sapeste come mi fa sentire bene dire bonjuuurrrrrrr.» L’ultima telefonata venne invece da Iwate, da uno dei luoghi del disastro del 2011. La curatrice del programma lanciò un’occhiata eloquente al tecnico del suono, il quale osservò un lungo momento la speaker per poi abbassare lo sguardo sul piano di regia, dove lo lasciò posato fino alla fine della chiamata. Come Yui, l’ascoltatore aveva perso la moglie nello tsunami, la casa divelta dall’acqua, il corpo trascinato tra le macerie: catalogato tra i yukue fumei “traccia ignota”, i dispersi. Ora abitava nella casa del figlio, nell’entroterra, dove il mare era solo un’idea. «E insomma» aveva esordito la voce che aspirava a stretti intervalli una sigaretta «c’è questa cabina telefonica in mezzo a un giardino, su una collina isolata dal resto. Il telefono non è collegato ma le voci le porta via il vento. Dico Pronto Yōko, come stai? e mi pare di tornare ad essere quello di una volta, mia moglie che mi ascoltava dalla cucina, sempre indaffarata sulla colazione o sulla cena, io che brontolavo perché il caffè mi bruciava la lingua.» «Ieri sera leggevo a mio nipote la storia di Peter Pan, il ragazzino volante che perde la sua ombra e la bambina che gliela ricuce sotto la suola, ecco, credo che siamo così anche noi che andiamo su quella collina: cerchiamo di riavere indietro la nostra ombra.» In redazione erano tutti ammutoliti, come se un oggetto estraneo ed enorme fosse improvvisamente precipitato tra loro. Anche Yui, di solito abilissima nel tagliare interventi troppo lunghi con poche, calibrate parole, non fiatò. Solo quando l’uomo tossì e la regia fece sfumare la voce, Yui parve ridestarsi dal sogno. Introdusse precipitosa il brano musicale, si sorprese del titolo, puramente casuale: Max Richter, Mrs. Dalloway: In the Garden. Arrivarono molti altri messaggi quella notte, e continuarono a giungere anche quando Yui era già sul penultimo treno per Shibuya e sull’ultimo per Kichijōji. Chiuse gli occhi, anche se il sonno non arrivava. Tornò e ritornò più volte alle parole dell’ascoltatore, come ripercorrendo in su e in giù la medesima strada e facendo via via attenzione a nuovi dettagli. Un cartello stradale, un’insegna, un’abitazione. Si addormentò solo quando fu certa di aver memorizzato il percorso. Il giorno dopo, per la prima volta da quando sua madre e sua figlia erano morte, Yui chiese due giorni di ferie. Riaccese il motore dell’auto, mise benzina, e con il navigatore satellitare a inanellare una serie compressa di imperativi, si diresse verso il giardino di Suzuki-san. Se non la felicità, perlomeno il sollievo, stavano per diventare una cosa. 2 Scaletta musicale di quella notte durante il programma radiofonico di Yui Fakear, Jonnhae Pt.2 Hans Zimmer, Time Plaid, Melifer Agnes Obel, Stone Sakamoto Kyū, Ue wo mite arukō The Cinematic Orchestra, Arrival of the birds & Transformation Max Richter, Mrs. Dalloway: In the Garden Vance Joy, Call if you need me 3 Mentre trafficava con il navigatore satellitare, Yui si sforzò di non vomitare. Per i primi dieci minuti la vista del mare le fece quell’effetto, glielo faceva ogni volta. Come se solo a guardarlo, quello le entrasse nella bocca; che anzi qualcuno, con un imbuto, glielo facesse ingoiare a forza. Metteva allora di fretta tra le labbra qualcosa, un quadratino di cioccolato, una caramella. In pochi minuti il cuore si abituava e si placavano anche gli spasmi. Nel mese subito successivo allo tsunami, era rimasta sfollata su un telo di due metri per tre, nella palestra di una scuola elementare, insieme ad altre centoventi persone. Eppure la solitudine che aveva sentito in quel posto non l’avrebbe sperimentata mai più. Nonostante una grande nevicata, inaudita a marzo, ogni volta che poteva usciva dall’edificio; si infilava in una crepa del muro che recintava il cortile della scuola, abbracciava un albero che le pareva aggrappato per bene alla terra, e da lì contemplava l’oceano tornato al suo posto, il cratere di macerie che si era lasciato dietro. Aveva scrutato l’acqua con concentrazione, non aveva guardato altro per settimane. Lì dentro, ne era convinta, c’era la risposta. Ogni mattina e ogni sera si recava al Centro Informazioni con la stessa domanda, due nomi, le treccine, i capelli grigi di media lunghezza, il colore di una gonna, il neo sulla pancia. Di ritorno passava veloce nei minuscoli bagni della scuola, frequentati di norma da bambini tra i sei e gli undici anni. Percorreva i corridoi tappezzati di disegni e lavoretti di carta. Tornava nel suo quadrato di vita, ammutolita da tutta quella assurdità. Alcuni, tra i teli stesi a terra sul pavimento di linoleum, parlavano fitto. Dovevano farne parola per essere certi fosse successo davvero. Altri invece non dicevano nulla, come terrorizzati a leggere la pagina successiva, dove sapevano che la tragedia sarebbe avvenuta: si convincevano che se quella pagina non fosse stata voltata, ciò che naturalmente seguiva non sarebbe accaduto. Altri ancora, che sapevano tutto, non avevano più niente da dire. La maggior parte aspettava, e Yui era una di loro. A seconda delle notizie che si ricevevano al Centro Informazioni, si veniva a far parte di un gruppo o di un altro. Talvolta poi si partiva alla volta di un altro rifugio dove c’erano ad attenderli quelli che loro stessi avevano atteso. C’erano centinaia di storie strabilianti da raccontare. Tutto, a recuperarlo, appariva ora come una coincidenza («se non fossi stata a letto malata», «se quel giorno avessi svoltato a destra anziché a sinistra con l’auto», «se non fossi sceso dall’auto», «se non fossimo tornati a casa per pranzo»). Tutti avevano udito la voce della giovane impiegata che dall’altoparlante del Comune, a cento metri dal mare, non aveva smesso un momento di trasmettere l’avvertimento dello tsunami in arrivo, della necessità di correre sulle montagne, nei piani più alti di edifici di cemento armato. Tutti sapevano che neppure lei si era salvata. Le immagini dei cellulari, che la gente ora faceva anche ore di fila per ricaricare, replicavano lo spettacolo insensato di gente aggrappata ai tetti, di macchine travolte dal mare, di case che dopo una strenue resistenza seguivano le persone come lo sciacquo in un lavandino. E poi il fuoco, che nessuno avrebbe mai immaginato più forte dell’acqua, che da piccoli ti insegnano che forbice vince su carta, come carta su sasso; che l’acqua vince sempre sul fuoco, perché lo spegne e sei salvo. Nessuno, in quella rassicurazione infantile ricordava che il tempo decide su tutto e che il fumo riempie i polmoni come una cosa. Che in uno tsunami si muore anche così, senza bisogno di toccare l’acqua. Dall’altura che cingeva la cittadina e su cui, appena concluse le violentissime scosse, si era rifugiata quel giorno, Yui aveva visto l’oceano avanzare. Le era parso lentissimo ma convincente, quasi che non ci fosse altra cosa da fare. Cos’altro mai avrebbe potuto fare un mare se non avanzare? Era distante da casa, e la madre per messaggio era stata talmente rassicurante sulla vicinanza sua e della figlia al rifugio di zona, che aveva seguito la gente, aveva sostenuto un’anziana che camminava a fatica, si era resa utile come poteva, convinta com’era di essere in fondo una sopravvissuta. Per un attimo si era sentita persino in colpa della propria fortuna. Arrivati sullo spiazzo della montagna, si erano tutti affacciati, come a teatro da una balconata. Tenevano in mano i cellulari, animati da una fiducia spropositata nella tecnologia. Parevano tornati tutti bambini, negli anni in cui non esiste confine tra l’eccitazione e la paura. E tuttavia quando il mare attaccò la terra, e non si fermò finché non raggiunse i piedi della montagna, il silenzio fu l’unica cosa. Quella scena fu per Yui talmente surreale, che a lungo non si sentì sicura a cosa avesse effettivamente assistito. Lo tsunami raggiunse un’altezza di molto superiore alla stima prevista, così che alcuni rifugi divennero una formula guasta, una parola sbagliata, come una definizione imprecisa che crea una solida corrispondenza tra due cose che invece non si somigliano affatto. Così era successo anche a sua figlia e a sua madre, che nel rifugio avevano trovato la morte. Per un mese aveva aspettato sul telo di due metri per tre, senza sapere più bene a un certo punto cosa stesse aspettando. I pochi oggetti che aveva appresso al momento del terremoto le rimasero attorno come una ghirlanda. Si aggiunsero bottigliette d’acqua, asciugamani, coppette di rāmen liofilizzato, onigiri, barrette energetiche, assorbenti igienici, energy drink. Circoscritta da cose sempre più vecchie, attendeva che quella cosa finisse. Poi finalmente i corpi vennero ritrovati e Yui smise di guardare il mare.

Imai Messina, Laura. Quel che affidiamo al vento (Italian Edition) (pp.20-27). EDIZIONI PIEMME. Edizione del Kindle.

Autrice: Laura Imai Messina

” Laura Imai Messina è nata a Roma. A 23 anni si è trasferita a Tokyo dove ha conseguito un PhD presso la Tokyo University of Foreign Studies. Insegna in alcune delle più prestigiose università della capitale. Ha esordito con successo nel 2014 con Tokyo Orizzontale (Piemme). Nel 2018, sempre per Piemme, è uscito Non oso dire la gioia, e per Vallardi il bestseller Wa. La via giapponese all’armonia.

Il suo stile raffinato e lo sguardo privilegiato sul Sol Levante ne fanno una voce inconfondibile del panorama letterario italiano. www.lauraimaimessina.com

Interessante l’ intervista all’autrice Laura Imai Messina

https://www.youtube.com/watch?v=nO0izqIIldU

Distanziati ma vicini……… per festeggiare il secondo compleanno del GdL “Parole in Giardino”

Dopo i  lunghi mesi di emergenza sanitaria e di incontri tenuti su piattaforma finalmente ci rivediamo oggi per condividere il piacere della lettura e per festeggiare il secondo compleanno del Gruppo di lettura “Parole in Giardino”.

 

Incipit

 Mi chiamo Mia. Ho ventinove anni. I trenta sono lì che mi fissano da un po’, con quell’aria da prof che scorre il registro per scegliere chi interrogare. Simpatici. A me sembra impossibile doverli compiere davvero: quando avevo dodici anni le persone di trent’anni mi sembravano già vecchie. Non dico con un piede nella fossa, ma quasi. E poi mi hanno sempre detto che ho gli occhi da bambina. Forse perché sono esageratamente grandi, non so. Però l’ho sempre considerato un complimento: mi piacciono le persone che diventano grandi e rimangono con gli occhi bambini. Anche perché spesso sono i bambini quelli più saggi di tutti. La verità è che non sono cresciuta. O meglio: fuori sì, ma dentro no. Me l’hanno spiegata per bene questa cosa: è come quando un orologio si inceppa e tu vedi la lancetta dei secondi che fa tic e poi sta ferma, tic e poi sta ferma. La mia, di lancetta, si è inceppata a tredici anni, per via di quello che è successo con Fede, e allora, anche se fuori cresco, c’è una parte di me che non è più andata via da lì. C’è una parte di me che avrà sempre tredici anni.

Galiano, Enrico. Dormi stanotte sul mio cuore (Italian Edition) . Garzanti. Edizione del Kindle.

 

Nel Giardino di Giusy, dove questa avvincente  avventura è iniziata due anni fa, il Gruppo di lettura  si incontra nuovamente:  i libri ci hanno scandito il  tempo, regalato emozioni,  stimolato riflessioni, creato ricordi.

Festeggiamo in tanti  il secondo compleanno del Gruppo di lettura “Parole in Giardino”.